15.06.2006
Due chiacchiere sulla “pelle…dell’Aragosta” di Elena Falbo
fotografie
di Lorenzo Dodi
E’
facile ritrovare sul fondo i resti più o meno grandi dello scheletro di
questo vistoso crostaceo. Alla loro vista, è piuttosto comune pensare, che
qualche predatore fortunato si è fatto una bella “scorpacciata”! Ma non è
sempre così…
Come tutti i crostacei l’aragosta ha il
corpo rivestito da una spessa e rigida corazza ornata di spine,
l’esoscheletro. Questa notevole
protezione ha però un inconveniente: manca
di elasticità. Man mano che l’aragosta cresce, lo scheletro esterno,
diventa sempre più rigido e non resta che cambiarlo. Questo è il temuto
momento della muta! L’animale sentendo il suo corpo schiacciato contro le
pareti rigide della corazza, dopo essersi assicurato un riparo, si gonfia
ingurgitando acqua, fino a creare una rottura sul dorso dell’esoscheletro,
che abbandona con movimenti rapidi. Il corpo dell’aragosta è ricoperto
da un nuovo scheletro, molle, flessibile e quindi, facilmente vulnerabile.
Per questo motivo, l’aragosta il cui aspetto non varia, rimane nella tana,
si idrata in continuazione in attesa che la corazza perda elasticità e si
indurisca, per la deposizione di sali minerali. Nel giro di qualche
giorno, il nuovo esoscheletro ricoprirà il corpo del crostaceo. Questa
nuova corazza è di qualche taglia superiore per permettere all’aragosta di
crescere fino a riempirla e di cambiarla con la successiva muta.
Nonostante la protezione della corazza,
questo tranquillo animale, ama trascorre la giornata, nella tana che
sceglie “su misura”. In
caso di pericolo l’aragosta vi si può incastrare,
raggomitolandosi su se stessa, fornendo così una straordinaria resistenza
a chiunque provi ad estrarla dal suo riparo. E’ col buio che è più facile
sorprenderla “passeggiare” fuori dalla propria tana, a caccia di
molluschi, ostriche e cozze, e di echinodermi in particolare ricci; non
disdegna pesci ed altri invertebrati morti. Il suo muoversi in modo lento,
sulle 5 paia di appendici ambulacrali, non deve però trarre in inganno; se
minacciata infatti, fugge velocemente nuotando a ritroso flettendo la
potente muscolatura dell’addome, e la potente coda. Spesso l’aragosta cade
vittima di agguati da parte di polpi mimetizzati sul fondo roccioso. La
robusta corazza dell’aragosta, non la difende infatti, dal suo nemico
naturale che con i tentacoli la immobilizza e con il suo rostro, si apre
un varco nella dura corazza succhiandone le parti molli all’interno e
lasciando l’involucro intatto.
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